Bitcoin inquina? Girano tante opinioni, un po’ dovute a speculazioni, un po’ da sproloqui di incompetenti social con dibattiti privi di fondamento.
In questo articolo chiarisco alcuni aspetti.
Indice
Aspetti tecnici su bitcoin
Bitcoin è un’unità di valore digitale decentralizzata. L’infrastruttura su cui si trova è la blockchain, ovvero un registro digitale aperto e distribuito.
Per creare nuovi bitcoin e movimentare quelli preesistenti, occorre una rete di nodi costituita da miners che validano le transazioni. Il meccanismo usato è il PoW, acronimo di Proof of Work.
Per minare bitcoin, è necessario che ogni nodo sia dotato di un impianto di mining, ovvero degli hardware molto potenti che sfruttano la potenza di calcolo delle GPU detenute dalle schede video.
Grazie al lavoro dei miners, si evita il double spending e la contraffazione.
Bitcoin inquina?
Prima di trarre delle conclusioni vanno considerati tutta una serie di aspetti.
Innanzi tutto, va considerato il guadagno dei miners: ogni dieci minuti viene minato un nuovo blocco. Il mining avviene tramite la risoluzione di calcoli molto complessi. Il nodo che si aggiudica il mining del blocco si aggiudica 6,25 bitcoin (ad oggi circa 125.000 euro).
È vero che il mining di Bitcoin usa energia ma si tratta di consumi decisamente inferiori all’estrazione dell’oro o delle transazioni bancarie.
È vero anche che i principali nodi sono installati su impianti a energia rinnovabile come delle centrali idroelettriche o impianti fotovoltaici. Questo perché i miners non possono permettersi che i consumi superino i premi ricevuti in Bitcoin. I miners devono guadagnare altrimenti la rete si ferma.
Anche per questo i principali impianti sono situati in luoghi nel mondo dove l’energia costa meno. Ciò esclude a priori l’Italia in quanto i costi sarebbero insostenibili.
Motivo per cui, l’impatto dovuto ai consumi di energia di Bitcoin sono decisamente ridotti rispetto ad altre attività, incluso quella di scrivere idiozie sui social (anche questo inquina).
Consumo delle schede grafiche
Uno dei dibattiti è quello della disponibilità limitata di schede grafiche che hanno portato a un’impennata dei prezzi.
Le schede grafiche negli impianti di mining sono soggette a un forte deterioramento dovuto ai potenti calcoli da risolvere. Ciò significa che vanno cambiate anche dopo pochi mesi di utilizzo.
Tuttavia, fra i miliardi di computer al mondo, ciascuno dei quali monta una schede video, difficilmente possono influire alcune migliaia di nodi sparsi per il globo.
In tutto il mondo, già da prima della guerra in Ucraina, ci sono problemi legati alle forniture di materie prime di ogni tipo. Dai diluenti all’acciaio fino ai materiali elettrici. Per produrre delle schede sono necessarie materie prime che potrebbero essere recuperate se venisse applicata l’economia circolare al ciclo produttivo.
Basta guardare le discariche nei paesi in via di sviluppo per capire quanto sia elevato lo spreco di preziosa materia prima.
Per cui il problema va cercato alla fonte e non solo su bitcoin.
Quanto consuma minare bitcoin?
Di per sé minare bitcoin costa pochissimo. Nei primi anni bastava anche la potenza di calcolo di un computer, invece questo aspetto si è evoluto (o involuto) nel tempo.
Il problema sta nel metodo di attribuzione dei premi. Per aggiudicarsi il mining di un nodo, occorre una notevole potenza di calcolo, per cui i nodi sono in concorrenza fra di loro fornendosi di sempre maggiore potenza.
Più l’impianto di mining è potente, più sono elevate le possibilità di aggiudicarsi il premio di 6,25 bitcoin.
Questa gara non ha limiti. E inquina.
Quanto inquina Ethereum?
Nel Settembre del 2022 Ethereum, seconda criptovaluta al mondo per capitalizzazione, è passata da un meccanismo di Proof of Work a Proof of Stake o PoS.
Significa che per minare Ethereum non vengono più usati degli impianti di mining ma vengono depositati ETH per la validazione delle transazioni da parte dei nodi.
Questo si narra sia dovuto a motivi ambientali e ai problemi di scalabilità della rete. Infatti il Proof of Stake ha un consumo energetico trascurabile.
Tuttavia, soprattutto le nobili motivazioni messe in circolazione destano non poche perplessità.
A cosa ci serve minare criptovalute?
Nell’era dei social c’è chi liquida l’argomento con un “bitcoin inquina, spegniamo tutto”.
Purtroppo è frequente vedere prese di posizione da parte di persone prive di competenza che gridano la propria opinione senza ascoltare nessuno.
Invece la faccenda è più complessa e andrebbe ascoltata anche da chi non è interessato alle criptovalute.
Bitcoin è una valuta digitale nata nel 2008 per offrire un’alternativa in piena crisi economica. È l’unica moneta al mondo deflazionistica, decentralizzata e open source.
Ciò non vuol dire che sia la moneta del popolo, al contrario è detenuta soprattutto da istituzionali e in quantità ingenti. L’antisistema è ormai diventato sistema.
Per bitcoin è nata la prima blockchain. Si tratta di un’infrastruttura che è stata poi utilizzata da Ethereum ma su cui si possono programmare smart contract. Grazie a questi girano centinaia di piattaforme decentralizzate da exchange a piattaforme di lending/borrowing.
Inoltre, la blockchain ha assunto un uso comune, si includono le telemetrie di gran parte dei voli al mondo, le carte d’identità, la supply chain di molte aziende nel settore biologico, i dati della SIAE su Algorand, il Web 3.0 e tanto altro.
Spegnere le criptovalute significa spegnere le blockchain e, di conseguenza, tutti questi servizi.
Personalmente sono un geologo, accanito ambientalista, less waster e sostenitore dell’economia circolare. Tuttavia il sostenere che “spegnere” le criptovalute serve a salvare l’ambiente è una baggianata colossale.
La blockchain sarà di uso comune nei prossimi anni in quanto uno dei fondamenti della quarta rivoluzione industriale.
Ciò non vuol dire che non debbano essere cercate soluzioni dalla produzione di hardware recuperabile al 100% a maggiori investimenti sulle rinnovabili.